Rating
Giudizio di sintesi sul grado di affidabilità dell’impresa utilizzato per valutare sia i titoli obbligazionari, sia le imprese, in base al loro rischio finanziario.
Esso tiene in considerazione la capacità di credito che indica se l’obbligazione, o gli altri strumenti finanziari, verrà ripagata secondo i termini contrattuali. Ci sono diversi fattori che influenzano la capacità di credito, come:
- la probabilità di default (o inadempienza), il fattore più importante nella definizione di capacità di credito;
- la capacità di sopportare eventi, condizioni e fattori esterni di stress
Il rating è emesso da apposite agenzie, che quindi valutano la solvibilità di un ente e la sua capacità di ripagare il debito, ovvero la probabilità di default dell’ente emittente titoli sul mercato finanziario.
Il rating è una valutazione su una scala predeterminata, generalmente espressa in lettere e/o simboli. Esistono diverse agenzie cosiddette agenzie di rating, le più conosciute ed influenti delle quali risultano essere Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch, tutte nate con l’obiettivo di affrontare il problema dell’asimmetria informativa presenti sul mercato finanziario, aiutando le decisioni di investimento.
Basandosi sul rating, il mercato stabilisce un premio per il rischio da richiedere all’azienda per accettare quel determinato investimento. Diminuendo il rating, aumenta il premio per il rischio richiesto e l’emittente deve quindi pagare uno spread maggiore – differenziale maggiore - rispetto al tasso risk-free. Un declassamento del rating di soggetti particolarmente indebitati ha la conseguenza, nel breve termine, di provocare un aumento degli interessi applicati ai prestiti, e quindi un aumento degli oneri finanziari.
Per ricevere il rating, uno Stato, una banca od una società devono farne richiesta esplicita ad una delle agenzie di rating, e il servizio è a pagamento, sollevando, in alcuni casi, dubbi di conflitto di interesse.
Ottenuto l’incarico, l’analista dell’agenzia comincia ad attingere informazioni pubbliche, studia i fondamentali economici e finanziari, incontra i manager per raccogliere le informazioni a lui necessarie. Terminato questo lavoro, entra in gioco un comitato, ovvero un organo collegiale – e non un singolo analista – per valutare il materiale raccolto e per esprimere un giudizio sotto forma di rating.
Il rating verrà quindi pubblicato e reso noto al mercato, altrimenti la società analizzata può decidere che non venga reso pubblico. Da questo momento, l’agenzia tiene il rating sotto monitoraggio, per valutarne eventuali promozioni o declassamenti.
L’origine del rating si può far risalire al documento History of Railroads and Canals in the United States (Storia finanziaria delle ferrovie e dei canali degli Stati Uniti), pubblicato da Henry Varnum Poor nel lontano 1860, che conteneva un resoconto dettagliato delle operazioni finanziarie di tutte le compagnie ferroviarie degli Stati Uniti, con il desiderio che le aziende cominciassero ad rendere pubblici i propri bilanci al pubblico e ai possibili investitori.
Il figlio di Henry Varnum Poor, Henry William Poor, insieme all’analista finanziario Luther Lee Blake, creò indici finanziari trasparenti, portando poi alla nascita dell’agenzia nella forma attuale nel 1941.
Una storia simile riguarda il giornalista economico John Moody, anch’egli interessato alla trasparenza finanziaria delle aziende, che nel 1909 fonda l’agenzia Moody’s, cominciando ad assegnare valutazioni alle obbligazioni emesse dalle imprese ferroviarie degli Stati Uniti.
Da qualche tempo a questa parte sono nati dubbi sull’operatività e obiettività di queste agenzie e si è venuto a parlare anche di “dittatura degli analisti”. Per cominciare, non sono soggetti terzi a finanziare gli studi costosi che portano all’emissione del rating, ma le stesse società valutate o i singoli investitori con molta liquidità.
Inoltre, la possibilità che il rating non venga pubblicato espone al rischio di aggiotaggio e insider trading, ossia all’omissione di comunicazione al mercato di informazioni in grado di modificare il prezzo del titolo che, per la teoria economica, deve incorporare nel prezzo tutte le informazioni disponibili in un dato istante.
L’omissione o la diffusione tardiva delle informazioni potrebbe quindi favorire un cliente dell’agenzia di rating, che potrebbe pagare per avere informazioni privilegiate.
Esiste poi una seconda tipologia di conflitto di interessi, più strutturata, per la quale la realizzazione di uno studio su un emittente o titolo comporta un costo fisso che, in realtà, non aggiunga nessuna nuova informazione che possa cambiare il rating e il prezzo di un titolo, favorendone l’acquisto o la vendita. In questo caso l’analista, ad esempio, potrebbe avere l’interesse di modificare le conclusioni dello studio, che rendano il prodotto una potenziale fonte di profitto, mentre la società emittente del titolo ha tutto l’interesse di confermare la solvibilità del rating e del titolo, stabilizzandone il prezzo. Se l’emittente ha un forte potere contrattuale, può chiedere all’agenzia di ritoccare in meglio il rating del titolo.
Ultimo aggiornamento 07/02/2014